Viveva un tempo, in un monastero di terre a noi lontane, un vecchio maestro spirituale. Egli era amato e venerato non solo da fedeli discepoli che godevano della sua beatitudine e della sua aura illuminata nella contemplazione silenziosa della sua pace, ma anche da uomini comuni, studiosi, generali, sovrani, abitanti di ogni terra, di ogni razza e credo religioso. Da lontano giungevano pellegrini per chiedere a lui il frutto della sua saggezza come nutrimento per le proprie domande e al loro ritorno mostravano un sorriso che pareva espressione di un linguaggio incomprensibile per chi non aveva mai conosciuto la beatitudine donata dall'illuminata saggezza del maestro. Nell'ascesi contemplativa il venerabile maestro non mostrava meraviglia per alcunché, nulla nel mondo pareva riuscire a turbare il suo equilibrio, nemmeno gli assassini che, nel nome di qualche folle guerra personale, o in vece di potenti che nel maestro vedevano una minaccia per l'egemonia nata dal controllo del sapere e la negazione dello stesso alle masse, giungevano per uccidere l'anziano venerando, ma che, una volta al cospetto del luminoso, desistevano non solo dalla loro impresa, ma, da quel momento in poi, anche da qualsiasi altra per la quale fosse prevista una qualsiasi azione violenta, tanto segnati uscivano da quell'incontro.
Giunse un giorno al cospetto del venerando un ramingo pellegrino in cerca di riposo e luce. Venne accolto dal maestro con il riguardo e l'umile ospitalità che egli era noto riservare ad ogni viaggiatore giunto al suo cospetto. Discorsero il maestro ed il pellegrino, quest'ultimo raccontò delle sue terre d'origine e delle bellezze che esse custodivano, ascoltava il maestro, con ponderato interesse e silenzioso rispetto, accennando, quando l'altro presentava pause nel discorso, rispettose e brevi domande. Chiese il maestro, vedendo silente il pellegrino, per quale motivo fosse giunto al suo monastero. Rispose il viandante che la sua era solo una tappa necessaria per un cammino che non aveva traguardo finale nel monastero. Chiese dunque il maestro dove fosse diretto il viandante. Rispose allora il ramingo: "Maestro, io seguo un cammino, in quanto tale in ogni passo è il traguardo, dove mi porterà non so e se e quando avrà fine non mi è dato sapere, ogni passo mi permette di decidere il successivo, questa è la vita che ho scelto. Sono qui solo per cercare riposo e luce, questo monastero accoglie alcuni passi del mio cammino, ogni qual volta cammino imparo qualcosa, ogni qual volta mi fermo godo della luce di questi luoghi". Rispose dunque il maestro: "Tu non giungi a me come fanno altri pellegrini, tu non giungi con domande, non chiedi a me di rivelarti il senso della vita o il segreto della felicità". "Venerabile", rispose il pellegrino, "anche se io chiedessi a voi il senso della vita ed il segreto della felicità voi mi rispondereste con parole che mi porterebbero sul cammino che sto già percorrendo, affinché io possa trovare le mie risposte per quelle domande". Si congedarono dunque il maestro ed il pellegrino per godere del sacro riposo in ciò che rimaneva della notte. Partì all'alba il pellegrino, dopo una buona colazione consumata in silenzio al cospetto del venerabile, così come, in silenzio e con un unico sorriso, i due si salutarono. Quando l'orizzonte ed il pellegrino furono una cosa sola il suo sorriso non era mutato ed era lo stesso con il quale si era presentato al maestro il giorno precedente. Pianse allora il maestro, pianse per un lungo interminabile giorno e piansero con lui i suoi discepoli nelle loro preghiere.
Giunse un giorno al cospetto del venerando un ramingo pellegrino in cerca di riposo e luce. Venne accolto dal maestro con il riguardo e l'umile ospitalità che egli era noto riservare ad ogni viaggiatore giunto al suo cospetto. Discorsero il maestro ed il pellegrino, quest'ultimo raccontò delle sue terre d'origine e delle bellezze che esse custodivano, ascoltava il maestro, con ponderato interesse e silenzioso rispetto, accennando, quando l'altro presentava pause nel discorso, rispettose e brevi domande. Chiese il maestro, vedendo silente il pellegrino, per quale motivo fosse giunto al suo monastero. Rispose il viandante che la sua era solo una tappa necessaria per un cammino che non aveva traguardo finale nel monastero. Chiese dunque il maestro dove fosse diretto il viandante. Rispose allora il ramingo: "Maestro, io seguo un cammino, in quanto tale in ogni passo è il traguardo, dove mi porterà non so e se e quando avrà fine non mi è dato sapere, ogni passo mi permette di decidere il successivo, questa è la vita che ho scelto. Sono qui solo per cercare riposo e luce, questo monastero accoglie alcuni passi del mio cammino, ogni qual volta cammino imparo qualcosa, ogni qual volta mi fermo godo della luce di questi luoghi". Rispose dunque il maestro: "Tu non giungi a me come fanno altri pellegrini, tu non giungi con domande, non chiedi a me di rivelarti il senso della vita o il segreto della felicità". "Venerabile", rispose il pellegrino, "anche se io chiedessi a voi il senso della vita ed il segreto della felicità voi mi rispondereste con parole che mi porterebbero sul cammino che sto già percorrendo, affinché io possa trovare le mie risposte per quelle domande". Si congedarono dunque il maestro ed il pellegrino per godere del sacro riposo in ciò che rimaneva della notte. Partì all'alba il pellegrino, dopo una buona colazione consumata in silenzio al cospetto del venerabile, così come, in silenzio e con un unico sorriso, i due si salutarono. Quando l'orizzonte ed il pellegrino furono una cosa sola il suo sorriso non era mutato ed era lo stesso con il quale si era presentato al maestro il giorno precedente. Pianse allora il maestro, pianse per un lungo interminabile giorno e piansero con lui i suoi discepoli nelle loro preghiere.
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