Mi sento perso. Senza volto, al suono di musica stupenda, danzano, e in tutta la mia scienza non ho mai imparato a danzare il loro significato. Non cercheranno di prendermi, confonderanno solo i miei passi, sono solo un'immagine sfuggente di questa perdizione. Non vi è passo che riesca a ricordare per concludere la danza, sono ancora qui e mi sembra di dimenticare la meta. Se mai ho avuto una vera vita, adesso tutti i ricordi sembrano renderla un'illusione. Provo un senso di dannazione, pur non avendoci mai creduto. Sto svanendo, e non come avrei voluto. Non vi è insegnamento oggi che riesca a ricondurmi verso la serenità, sono lontano, confondo pensieri e non questo mi preoccupa, non le piccole follie più che comprensibili che scriverò adesso, perso tra mille universi non miei, sono il granello di fuliggine nei pensieri altrui, mentre la figura di un dio a molti sconosciuto in cui non voglio credere pare divertirsi in questo immenso piano, riuscendo a farmi soffrire dove l'unica vera sofferenza non è la marchiatura a fuoco, non la tortura, non la pelle strappata con minuzia artistica e freneticamente inquieta da deformi ignari bambini che vivono di pensieri inumani, dita veloci come quelle di insetti, non la deturpazione del mio corpo dimenticato, non il piccolo rosicchiare incessante di sorrisi nel cervello, non l'anima sacra imprigionata e luminosa con le palpebre serrate da una sicurezza forte dall'azione lieve e gentile che non ferma la tortura, accettandola in se senza venir consumata. Nulla è puro dolore, intenso o lieve che sia, quanto l'insinuante crudele ansia di pensiero data dal dubbio, inoculato con perizia folle e minuziosità surreale, che non vi sia un termine, che non vi sia un cammino, che non vi sia una personale redenzione finale. Mi viene mostrato ogni passo, vengo nutrito a forza fino a vomitare, e ancora, e ancora, senza mai cambiare, ogni pensiero, ogni sfogo, scritta, riflessione di questi mesi, tutto viene reso inoffensivo, sterilizzato, privato dell'efficacia grazie a questa opera paziente e crudele. Finisco per aver bisogno di credere invece di saper sentire, così, una volta insinuato il bisogno, frantumare il credo è facile. Smetto anche di accovacciarmi sotto l'acqua scrosciante, resto immobile, eretto, non per forza, non per un auto-abbandono dato da superiore comprensione, ma per un annientamento dato da una paura che non ha più nulla da mangiare. La paura di essere perso, senza la paura di ritrovarmi.
Solo per qualche ora ancora, tutto così maledettamente vero.
Solo per qualche ora ancora, tutto così maledettamente vero.
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