Se bruciando di nero resto immobile, non vinco. Perdonami maestro. Se bruciando di oscurità mi dimeno, sono debole. Perdonami maestro. Se bruciando di oscurità cammino per le strade sincero nella mia debolezza, fermo nel mio credere, cosciente del mio illudermi, allora non mi interessa di vincere, non mi importa se sono debole. Addio maestro.
E tu, maestro, sai che tornerò.
Se tratto il me di un istante come uno stupido nel successivo, sono come il genitore che giudica inezie i problemi del figlio piccolo, nonostante il grande dolore che questi prova. Ed i primi dolori del figlio saranno fortemente impressi nella sua memoria incosciente. Egli non avrà chiesto compassione, ma comprensione.
Così avanzo, in questo nero periodo, dove anche il mio corpo decade disfacendosi con la lentezza vitale degli alberi, sotto fiamme inconsistenti, petali e foglie, nere piume, pelle che brucia.
E non vi è contatto nel sonno, non vi è lo sfiorar di pelle, reale o sognato, non vi è la paura in questo dormire mentre cammino per le strade di questa strano giorno di sole intenso sotto nuvole nere, vedo cristallizzato ogni istinto di fuggire, cristallizzato ogni timore animale, immobile la struttura del mio essere percepibile, ma del fiume interno all'oceano, delle correnti che si avvelenano con carcasse dei miei pensieri, non voglio sapere, né vedere, il fiume verde nero, putrido gorgoglio che mulinellando si restringe verso luoghi ignoti e profondità che temo atavicamente.
Sono stanco... non toccarmi... lasciami dormire...
E tu, maestro, sai che tornerò.
Se tratto il me di un istante come uno stupido nel successivo, sono come il genitore che giudica inezie i problemi del figlio piccolo, nonostante il grande dolore che questi prova. Ed i primi dolori del figlio saranno fortemente impressi nella sua memoria incosciente. Egli non avrà chiesto compassione, ma comprensione.
Così avanzo, in questo nero periodo, dove anche il mio corpo decade disfacendosi con la lentezza vitale degli alberi, sotto fiamme inconsistenti, petali e foglie, nere piume, pelle che brucia.
E non vi è contatto nel sonno, non vi è lo sfiorar di pelle, reale o sognato, non vi è la paura in questo dormire mentre cammino per le strade di questa strano giorno di sole intenso sotto nuvole nere, vedo cristallizzato ogni istinto di fuggire, cristallizzato ogni timore animale, immobile la struttura del mio essere percepibile, ma del fiume interno all'oceano, delle correnti che si avvelenano con carcasse dei miei pensieri, non voglio sapere, né vedere, il fiume verde nero, putrido gorgoglio che mulinellando si restringe verso luoghi ignoti e profondità che temo atavicamente.
Sono stanco... non toccarmi... lasciami dormire...
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